olio su tela: 90×90

olio su tela:100×70

olio su pannello double face:  50×70

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Piccini Giulio

Nacque a Udine nel 1923 in una famiglia di artisti, così che gli sono maestri per la scultura il nonno Silvio e il padre Max; per quanto attiene alla pittura, guarda soprattutto a Fred Pittino. Tra il 1948 e il 1951 frequentò i corsi liberi dell’Accademia di Venezia sotto la guida di Armando Pizzinato. Dopo un’iniziale adesione al Neorealismo, grazie anche all’amicizia con Getulio Alviani, trovò uno spazio consono alla propria espressività nell’arte astratta geometrica, optical e programmata. Ha collaborato con il padre alla realizzazione di varie opere di scultura e architettura ed ha a sua volta eseguito opere monumentali per vari enti pubblici e privati. Fondatore del Circolo Giovani Artisti, dal 1981 al 1992 ha diretto il laboratorio di arti plastiche del Dipartimento di salute mentale di Udine. Particolarmente abile nelle saldature, nelle fusioni e nelle patinature, ha utilizzato tutti i materiali con una netta predilezione per i metalli, consegnando la sua immaginazione visiva a piani e supporti, esili e leggeri, di acciaio inossidabile, esaltando in essi i ritmi compositivi e differenziandosi in tal modo dalla poetica del padre. All’impegno scultoreo ha affiancato l’attività grafica, in cui ha manifestato uno spiccato senso per il colore. P. ha partecipato a molte mostre nazionali e internazionali, tra cui le Biennali di arte triveneta a Padova, Tarcento e la Quadriennale di Roma, e ha allestito diverse mostre personali in regione e fuori regione. Tra i suoi lavori si possono citare: la scultura raffigurante San Giorgio e il drago sul campanile della chiesa di San Giorgio a Pordenone (1957, in collaborazione con Pierino Sam), il Monumento ai Caduti Partigiani nel Cimitero di San Vito a Udine (bronzo, 1972), il Ritratto di Agostino Candolini conservato presso la Provincia di Udine (1983, rame), il Monumento ai Caduti di Cabia, Arta (acciaio, 1985). Morì nella città natale il 3 luglio 2010.

Piccini, da un secolo una famiglia di artisti

di Mario Blasoni Silvio (1877-1955) il nonno, Max (1899-1974) il figlio e Giulio (1923-2010) il nipote: architetto, pittore e scultore il primo, pittori e scultori gli altri due, costituiscono una famiglia di artisti che tanto ha dato a Udine e al Friuli negli ultimi cent’anni. In opere pubbliche e private (basti pensare alle gallerie di ritratti, dai salotti bene alle tombe del cimitero monumentale di San Vito). Silvio, di origine toscana, arrivato a Udine nei primi del Novecento, ha aperto la strada (ricordiamo le pregiate architetture della casa Guatti di piazzetta Gorgo e delle distillerie Canciani e Cremese di viale Ledra); Max è il personaggio centrale della dinasty, il più popolare (sue le statue di Zardini a Pontebba, di Carnera a Sequals, di Fruch a Rigolato, di Carducci a Piano d’Arta, di Girardini e Zorutti a Udine); infine Giulio, sperimentatore, sempre alla ricerca del nuovo, è il degno continuatore dell’opera paterna. Ed eccoli ora insieme, per la prima volta, uniti nell’omaggio della mostra («Silvio, Max e Giulio Piccini, una famiglia di artisti») che l’assessorato alla Cultura della Provincia di Udine ha loro dedicato nell’ex chiesa di Sant’Antonio Abate. Abbinato alla mostra, che si è conclusa nei giorni scorsi dopo un mese e mezzo di esposizione, c’è il bellissimo catalogo curato da Giuseppe Bergamini e Gabriella Bucco, con la collaborazione delle figlie di Giulio, Francesca e Rosalba, e del nipote Cristian, figlio di Rosalba. I Piccini – che hanno anche collaborato con colleghi come Ado Furlan e Mario Ceconi di Montececon – e Max soprattutto sono considerati gli unici scultori del Friuli in grado di affrontare tutte le elaborazioni possibili: dagli schizzi al bozzetto in gesso, dal modello alla fusione. Silvio, dopo esperienze anche internazionali (nel 1907 ha partecipato, a San Francisco, alla ricostruzione post terremoto, progettando abitazioni e un ufficio postale) ha aperto, nel 1920, con il figlio Max, la società Marmi e bronzi artistici in via Mentana 14, dove la famiglia ha sempre abitato. Silvio ha avuto due figli, Max e Gino, un artigiano dimenticato dalle biografie, che spesso dava una mano nell’azienda. Tornando a Max, va precisato che il suo è diventato, curiosamente, un nome d’arte in quanto quello originale era Carlo Marx. Silvio era di idee socialiste, ma poi è venuto il fascismo e il consiglio di famiglia (il giovane era già maggiorenne) ha deciso per la correzione, che poi si è rivelata congeniale, oltre che, in quel momento, “provvidenziale”. «Casa e bottega sempre insieme – commenta Rosalba Piccini – nello stesso edificio di via Mentana. Oggi è cambiato solo il numero, che da 14 è salito a 76». La figlia di Giulio ricorda che la presenza di nonno Max era «un’emozione quotidiana: veder nascere figure, personaggi, creazioni uniche… Il nonno ci rivelava – aggiunge – i segreti del mestiere insegnandoci, in particolare, a utilizzare al meglio i materiali». E racconta, inoltre, che Max «ha lasciato libero il figlio di scegliere la sua strada: Giulio, infatti, si era inizialmente dedicato all’astratto e alle sculture su linee verticali». La figlia di Giulio ha imparato molto alla “bottega” del padre e lo dimostra nel citato catalogo dove interviene con una ampia dissertazione su “I segreti della scultura, una tradizione di famiglia”. Rosalba Piccini, classe 1959, ha una laurea magistrale in arti visive e lavora come restauratrice per il ministero dei Beni culturali. Sua sorella Francesca, maggiore di un anno, è architetto e insegna al Sello. Il figlio di Rosalba, Cristian, 39 anni, è diplomato all’Accademia di Firenze e fa il regista teatrale. Max, che pure ha avuto esperienze all’estero (Parigi e Berlino), ha aderito alla Scuola friulana di avanguardia fondata da Angillotto Modotto nel 1928, quindi al Circolo artistico friulano, nel secondo dopoguerra, e successivamente alla Face di via Treppo e al Centro friulano di arti plastiche. In tutti questi sodalizi è stato un importante punto di riferimento. Particolare collaborazione ha avuto con il pittore Fred Pittino e con altri artisti come il vignettista Emilio Caucigh (suo vicino di casa, zona di via Mentana) e il pittore Guido Tavagnacco, autore di un bellissimo ritratto di Max. Data l’ampiezza dell’arco di impegno (oltre un secolo) dei tre Piccini, possiamo dire che essi hanno avuto come recensori tutti i maggiori critici e giornalisti del periodo, dai primi del Novecento ai giorni nostri. Lo testimonia la ricca Antologia critica riportata nel catalogo. Da Ettore Carletti al severo, ma autorevole, Arturo Manzano, da Leone Comini a Carlo Mutinelli. E poi, via via, Licio Damiani, Amedeo Giacomini, Tito Maniacco, Gabriella Brussich e infine i già citati Bergamini e Bucco. Quanto alle mostre non è che Silvio, Max e Giulio vi ricorressero spesso. Citiamo quanto scrisse Manzano nel 1966 in occasione della personale di Max alla galleria del Girasole di Udine. «È un caso davvero insolito che un artista operi per quasi mezzo secolo nella città in cui è nato senza presentarsi ai propri concittadini con una mostra personale. È il caso dello scultore Max Piccini, udinese fino al midollo, innovatore assiduo e produttore di tante e tante opere ma che a Udine, da solo, non ha mai esposto». Soltanto una volta, ben 35 anni fa – aggiunse allora il critico del Messaggero Veneto – raccolse un gruppo di sue sculture e le espose, assieme a lavori di Fred Pittino, nello scantinato del palazzetto del cinema Eden, poi insensatamente demolito per costruirvi l’Upim. Sono passati 50 anni da quella mostra al Girasole definita da Manzano «un fatto eccezionale» e «una sorpresa per gli udinesi e i friulani». Altrettanto possiamo dire oggi della bella antologica a Sant’Antonio Abate che, come abbiamo già sottolineato, per la prima volta ha reso omaggio a questa, tutta intera, esemplare famiglia di artisti.