MANCINI, Antonio. Pittore, nato in Roma il 14 novembre 1852, morto ivi il 28 dicembre 1930. A dodici anni fu iscritto nella Accademia di belle arti di Napoli, dove trascorse nove anni dedicati a ricerche coloristiche e a esperienze disegnative condotte non soltanto sul vero, ma sulle opere degli antichi maestri.
Biografia
Nacque in Roma da Paolo, sarto nativo di Narni, e da Domenica Cinti, ternana.
Dimostra una tale e precoce abilità artistica che, appena dodicenne, viene ammesso all’Accademia di Belle Arti di Napoli dove è allievo di Morelli, di Palizzi e di Stanislao Lista.
È anche molto amico di Gemito e, come lui, ha una giovinezza povera e difficile.
Già nel 1870 espone al Salon di Parigi due suoi dipinti, riscuotendovi subito un grande successo. Nel 1872 compie un viaggio a Venezia rimanendo profondamente colpito dalla pittura veneziana.
Tre anni più tardi conclude i suoi studi accademici e si trasferisce a Roma dove apre un proprio studio; aderisce alla corrente artistica del Verismo dedicandosi al ritratto e alla pittura di genere aneddotico,
Nel 1875 per alcuni mesi si trasferisce a Parigi. Durante il soggiorno parigino lavora per i mercanti d’arte Adolphe Goupil e Hendrik Willem Mesdag.
Conosce Degas e Manet e diviene amico di Sargent che lo considera il miglior pittore vivente. Conosce anche Ernest Meissonier e Jean-Léon Gérôme.[1] È anche a Londra, invitatovi da Sargent, dove la sua pittura continua a riscuotere successo.
Ritorna a Napoli e riparte per Parigi nel 1877. Nel 1878 fa ritorno a Napoli, vittima di una malattia e con profonde crisi depressive che, nel 1881, ne consigliano il ricovero in una casa di cura.
Dimesso l’anno successivo, decide infine di trasferirsi definitivamente a Roma nel 1883 dove può contare anche su di un aiuto finanziario dagli artisti suoi amici.
A Roma conosce Aurelia che, oltre a posare per lui come modella, diviene anche sua compagna di vita.
Con il mecenate olandese Mesdag stipula un contratto per cui, dal 1885 in poi, Mesdag provvede ad inviargli regolarmente del denaro in cambio di dipinti e disegni (circa 150 lavori) che il mercante tratterrà per sé (oggi sono nel museo a lui intitolato) e a vendere il resto.
Ha inoltre un contratto con il mercante Messinger (lavorerà per lui fino al 1911) e poi con il mecenate e collezionista Fernand du Chêne de Vère che lo ospita nella propria residenza di Villa Jacobini (Casal Romito) a Frascati, dove rimane per 11 anni, fino al 1918.
Nel 1920 la XXII Biennale di Venezia gli dedica una mostra personale.
Nel 1929 viene accolto nell’Accademia d’Italia.
Muore a Roma nel 1930 ed è sepolto presso la navata destra della Basilica dei Santi Bonifacio e Alessio, sull’Aventino.
Opere
Nonostante i suoi due soggiorni a Parigi, Antonio Mancini rimase profondamente estraneo alle tendenze più attuali della pittura francese del tempo, preferendo un forte legame con il naturalismo ottocentesco italiano. La vita popolare, spesso segnata da accenni di tristezza, caratterizza le sue prime opere quali il Prevetariello, lo Scugnizzo (L’Aia, Mesdag Museum), Autoritratto (National Gallery di Londra). Le opere successive sono dedicate a ritratti di dame, autoritratti, a strane figure in fantasiosi travestimenti eseguite una maniera più agitata, con vivi guizzi di luce, posti sulla tela in grumi di colore violento e accese colate. Ulteriori sue ricerche (con l’inserimento di pezzi di vetro, stoffe e altri materiali sul quadro) confermano come egli sentisse la profonda crisi del naturalismo.
Alla Galleria dell’accademia di belle arti di Napoli si conservano queste opere di Antonio Manciniː Testa di bambina, 1867, olio su tela, 50×39 cm; Studio di testa di spalle, 1870, olio su cartone, 31×43,5 cm, saggio di scuola; Rosina, 1870, olio su tela, 30,5×39,5, cm; Profilo di donna in nero, 1871, 31,5×42,5 cm; Dama in rosso, 1926, olio su tela, 191×101, dono dell’autore; Vestire gli ignudi, 1871, carboncino, 105×158 cm, firmato e datato.

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